‎La DESTRA

"La DESTRA è slancio vitale, volontà di potenza, spiritualismo laico, estetica della politica, saldezza morale, lealtà, onore, fedeltà alla parola data, coerenza con propri ideali, amore verso il popolo, capacità di sacrificio." A. Romualdi

LA FIAT E LO SCHIAVISMO DI RITORNO

LO SCHIAVO SERVE MARCHIONNE E I SUOI FRATELLI USUROCRATICI                                 
Il recente accordo Fiat-sindacati (Cisl, Uil) e il disaccordo (Cgil-Fiom) a proposito dei nuovi contratti per i lavoratori metalmeccanici dell’azienda torinese ha fatto ri-sorgere sulle labbra di molti osservatori critici la parola “schiavitù”. Quasi come se uno spettro che si pensava essere stato esorcizzato dalla civiltà fosse tornato d’improvviso, e per mano di Sergio Marchionne, a turbare i sonni dei giusti. Ma davvero qualcuno pensava che il triste fenomeno fosse stato cancellato almeno dalle pagine della storia più recente? Ci vuole molta buona (malvagia) volontà o una miopia spinta ai limiti della cecità per crederlo. La verità nuda e cruda è che lo sfruttamento economico dell’uomo sull’uomo e la negazione dei diritti del sottoposto ha solo cambiato nome nei secoli, lasciando però immutata la sostanza della cosa. Cos’altro sono lo sfruttamento del lavoro minorile, quello degli immigrati più o meno clandestini, quello della prostituzione che si esercitano non solo in lontananza ma fin dentro i cuori delle nostre civilissime (?) società occidentali? Fenomeni punibili dalla legge, certo! Ma, allora, dovrebbe esserlo anche un accordo, ai limiti della incostituzionalità, che di fatto ricatta migliaia di lavoratori costringendoli al consenso, pena il capestro del licenziamento e la chiusura delle fabbriche. Il primo paese africano ad abolire la schiavitù fu l’Etiopia ma l’atto non fu motu proprio del governo etiope ma “bella abissina sarai italiana” delle truppe colonizzatrici italiane, all’indomani, e come primo esito legislativo, del loro ingresso vittorioso ad Addis Abeba, nel 1936.  Eh! che volete? La storia riserva sempre delle contraddizioni imprevedibili. Proprio come quella dell’operaio “così ama definirsi“ Sergio Marchionne che torna a proibire la pausa pranzo e, quel che è più grave, il diritto di rappresentanza sindacale a quei lavoratori che non sono d’accordo con lui. Sono avvisaglie di un mesto ritorno alle origini della rivoluzione industriale, quando intere masse rurali, soprattutto pastori, privati della libertà di pascolo sulle terre del Regno Unito, vennero costrette a inurbarsi miseramente nei sobborghi ghetto di Manchester, Liverpool, Londra. Senz’altra libertà che quella di rendere schiavo il proprio lavoro del profitto altrui. Ciclicamente è sempre il potere, tanto più se impersonale, a dare l’interpretazione concreta di quel principio nobile e bellissimo  che è la libertà. Una libertà che diventa però astratta se lo stato non siamo più noi, come pretendevano i padri della rivoluzione industrial-liberista, perché un potere più forte di quello della nostra rappresentanza politica, il potere concreto di chi batte moneta, ce ne ha espropriati. Un potere che millanta credito e ce ne fa pagare il debito. Ad un tasso di interesse da usurai. E non parliamo solo di economia. Il ricatto di Marchionne, specie in un Paese in cui le morti sul lavoro dovute a ritmi intollerabili sono all’ordine del giorno, è moralmente inaccettabile; il lavoratore è un uomo e non uno schiavo. Secondo l’ad Fiat, campione del neoliberismo senza regole, invece, l’unica alternativa alla schiavitù sarebbe la disoccupazione. L’azienda che più di tutte in Italia ha goduto del sostegno della collettività deve essere nazionalizzata, per essere sottratta alla speculazione dei grossi azionisti, allo scopo di avviare un processo che conduca alla vera socializzazione dell’impresa: quella che riconosce, accanto all’aspetto economico, l’importanza fondamentale del contributo umano. Al contrario, VINCE LO SCHIAVISMO DI RITORNO DEL CAPITALISMO PREDATORE.

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